Mi chiamo ZEUS e sono un meticcio. Sul passaporto hanno scritto “nero focato. Nessuna razza prevalente”. Però mi piace credere di essere un cucciolo di lupo, anche se non ululo alla luna. Continua a leggere “Un cane viaggiatore”
Canile 3.0
Cani, persone e società
Il canile che sogno è il canile che non ha necessità di esistere. Ma questo canile esiste in un mondo che oggi non c’è. Il nostro compito è quello di costruire quel mondo partendo proprio dal canile che oggi c’è. (Luca Spennacchio)
Il cane in copertina è Kaos, ha le zampe incrociate e lo sguardo rivolto all’insù. I suoi occhi racchiudono il mondo di chi ha vissuto l’abbandono, il canile e ora una vita felice.
Luca Spennacchio, formatore cinofilo e saggista, in Canile 3.0 (Cinantropia), analizza il canile, dalla sua nascita ad oggi. Un manuale a 360 gradi che insegna come lavorare con i cani, descrive le problematiche che possono insorgere e l’importanza della formazione degli operatori. Il libro, che è frutto della lunga esperienza in campo dell’autore, è anche una riflessione profonda sul mondo del cane.

Nell’immediato dopoguerra il canile era un presidio sanitario con l’obiettivo unico di difendere la comunità dal contagio della rabbia, zoonosi mortale per animali e uomini.
I cani che ne manifestavano i sintomi venivano soppressi e tutti gli altri messi in quarantena in box stretti e angusti per poi fare la stessa fine se nessuno li reclamava. Tutto questo orrore avveniva dagli anni Cinquanta in poi. Il canile era una specie di luogo per appestati, un lazzaretto senza via di uscita e il cane poco più che un rifiuto, uno scarto della società da allontanare dallo sguardo di tutti (canile 1.0).

Nel 1991 con la legge 281 viene finalmente sancita l’abolizione dell’eutanasia e cancellata per sempre l’orrenda pratica della soppressione dei cani dopo una breve permanenza in canile. Per la prima volta si inizia a parlare di benessere animale e nascono le prime associazioni animaliste. Il cane però inizia anche ad acquistare un valore economico, dal momento che lo Stato inizia a stanziare fondi per il suo mantenimento.
Inizia anche a manifestarsi il fenomeno del randagismo e si inizia a lavorare con l’obiettivo di togliere i cani dalla strada (canile 2.0).

In questi ultimi anni, per fortuna, nuove sensibilità e competenze sono state raggiunte, magari non dappertutto ma qualche eccellenza sul territorio è sorta. La fase attuale (canile 3.0) dovrebbe rappresentare una struttura che lavora per non esistere ma affinché avvenga un cambiamento così importante sono ancora molte le difficoltà da superare e ancora troppi i casi di abbandono, rinunce di proprietà e maltrattamento. I canili che non si sono ancora adeguati ai nuovi criteri di benessere animale rappresentano purtroppo un numero ancora elevato.

L’adozione di un cane dovrebbe richiedere consapevolezza e un percorso ad hoc da parte dell’adottante. Anche il cane dovrebbe avere la possibilità di sperimentare per gradi la nuova vita, il tempo e la pazienza necessari per adattarsi e recuperare la fiducia. Per questo la conoscenza sempre più approfondita degli ospiti del canile è il primo passo per un’adozione felice e può essere di aiuto una schedatura secondo l’indice di adottabilità (IDA) che dipende da molti fattori: età, taglia, storia clinica, motivazioni di abbandono, tempo di permanenza nella struttura, caratteristiche comportamentali.

Il canile è ancora visto come luogo di dolore e pietismo e non soltanto di transizione. Al contrario, al suo interno si dovrebbe fare formazione attraverso corsi e conferenze al fine di rivalutare il rapporto uomo-animale. Dovrebbe esserci un contesto culturale e ricreativo sia per i cani che per le persone, in cui gli educatori lavorano sulla prevenzione più che sui problemi.

Capire il cane vuol dire conoscere la gerarchia dei suoi bisogni partendo dalla sua storia evolutiva. Per questo un training per gli operatori dovrebbe essere obbligatorio.
Troppi rumori e mancanza di orizzonti possono risultare le cause scatenanti di una mancata integrazione. Noia, odore intenso, ripetizione ossessiva delle giornate creano scompensi e squilibri.
Il cane ha bisogno di socialità, di muoversi, correre, passeggiare, annusare. Insegnare a fare qualcosa, per esempio attraverso la mobility dog, è fondamentale perchè tra corpo e mente ci sia sempre un dialogo costante. Lenire lo stress, vero responsabile dell’insorgere di comportamenti compulsivi, organizzando giochi di attivazione mentale e ricerca olfattiva. Senza tralasciare il contatto fisico che, attraverso manipolazioni, spazzolature e vestizione delle pettorine, rinforza le competenze relazionali per mantenere flessibili le doti di adattabilità che forniranno all’animale una maggior capacità di reinserimento in famiglia e nella società.



Lavorare in canile è impegnativo perchè bisogna imparare a gestire l’emotività ma ogni traguardo raggiunto ricompensa pienamente lo spirito.

Un canile senza recinti e box non è più un sogno ma una realtà oggi possibile. Impegnarsi perchè avvenga questo cambiamento è una questione di rispetto e amore.
Ogni cane racchiude sempre un mondo dentro di sé. Un mondo che è meraviglioso.

I cani, la mia vita
Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo (Gandhi)
Nel 2002 Sara parte alla volta di Bucarest e l’impatto è terribile. Un anno prima il massacro dei randagi rumeni aveva sconvolto l’opinione pubblica.
Un’altra dimensione. Tutti sono indifferenti a tutto, una popolazione in lotta contro miseria, corruzione e malasanità. Sara è una semplice volontaria ma da quel giorno le sue priorità cambiano e la sua passione per i cani abbandonati diventa una vocazione da porre al centro della vita, lasciando tutto.

Sara, L’Angelo dei randagi rumeni
Il randagismo in Romania, che è uno dei paesi più poveri d’Europa, è una piaga enorme. Molti cani vengono catturati e barbaramente uccisi ogni giorno e non c’è una legge che protegga questi poveri animali che sono diventati un problema sanitario e di sicurezza pubblica. Salvare queste creature richiede spazi e risorse, ucciderle è più semplice, veloce e meno costoso. Sono duemila i randagi che vagano nella sola cittadina di Cernavoda. Le istituzioni non si impegnano per cambiare le cose e così il fenomeno si riflette sulla vita delle persone diventando un’emergenza sociale di grande entità. Cani e persone rovistano nei cassonetti della spazzatura.
Mi sento sola ai confini del mondo

Vivere la sofferenza di quegli animali è insopportabile al punto che Sara decide di dedicare la sua vita a loro. Compassione, empatia non bastano, guardare il dolore da vicino è il solo modo per capirlo e così si trasferisce a Cernavoda, una cittadina del sud della Romania, e inizia a costruire le fondamenta di un progetto di sterilizzazione per il controllo delle nascite e attività di pronto soccorso per rispondere alle tante esigenze del territorio.

Il randagismo è figlio di una mentalità, di una cultura. Nei paesi in cui vige il senso di responsabilità dei cittadini, per esempio nel nord Europa (Svezia, Austria, Scandinavia, Germania, Olanda), non è mai esistito.
Laddove invece le istituzioni non si sono impegnate a trasmettere ai cittadini il senso di responsabilità nei confronti dell’ambiente e della tutela degli animali purtroppo esiste. E’ figlio dei cani senza microchip di cui le persone con superficialità si sono sbarazzati. Quegli animali non sterilizzati e liberi di vagare hanno iniziato ad accoppiarsi in maniera incontrollata e, moltiplicandosi attraverso le cucciolate, a creare un fenomeno oggi difficile da controllare e censire.

Molti cani ancora oggi vivono legati a una catena
Gli animali non dovrebbero essere una causa di serie B. Anzi, non dovrebbero proprio esistere gerarchie. Tutte le sofferenze (umane, ambientali, animali) sono la conseguenza di un’ingiustizia e di comportamenti sbagliati.
In Italia i cani rinchiusi in canile sono 130.000. Eppure 300.000 italiani ogni anno decidono di comprare un cane invece di adottarlo. Nel nord Europa, invece, adottare un cane da un canile è una prassi normale.

Un sorriso, malgrado tutto
Sara Turetta fonda Save the Dogs and other Animals nel 2005. E’ presidente di un’associazione internazionale che, in Romania, tutela la vita degli animali randagi. Prima di tutto li salva e li cura, poi li sterilizza e li vaccina. A volte sono cani randagi sfiniti dalla fame, con infezioni importanti, terribili malattie infettive o in fin di vita. Nei canili pubblici vengono addirittura lasciati morire di fame e di freddo.
Entrarci mi prosciuga le energie e spegne la speranza.
Altre volte sono cani di proprietà maltrattati e mal gestiti. L’ultima azione è quella di metterli nelle condizioni di poter essere adottati, coinvolgendo associazioni di tutta Europa attraverso una grande rete di collaborazione.
In Romania non esiste la sterilizzazione e nemmeno un piano vaccinale adeguato. In molti paesi vige tuttora la credenza popolare che passare un ferro rovente sulla fronte di un animale equivalga a un vaccino efficace.

L’amore di Sara per i cani
Delusioni ma anche grandi soddisfazioni perchè con grandi sacrifici in questi anni Save the Dogs ha costruito dal nulla, grazie all’aiuto delle donazioni, due rifugi e la clinica veterinaria più grande della Romania e oggi Sara può contare sull’aiuto di cinquanta collaboratori tra veterinari, educatori cinofili e volontari, molti partner internazionali e migliaia di donatori.


Save the Dogs in Romania
Save the Dogs nel 2019 ha deciso di impegnarsi anche nel sud dell’Italia con il progetto Non Uno Di Troppo. Si parte dalla Campania, la regione italiana con il più alto numero di randagi sul territorio, e poi la Calabria, dove le resistenze culturali sono ancora particolarmente difficili da debellare. Qui il numero di cani vaganti è spaventoso ed è alimentato dal continuo abbandono, dalla cattiva gestione e dal menefreghismo delle istituzioni.
Nella vita sono i luoghi a chiamarci, anche quando pensiamo di essere noi ad averli scelti.

Il fenomeno incontrollato del randagismo
L’attenzione ai randagi si focalizzerà su programmi di cattura, sterilizzazione e adozione. Diminuendo il numero delle cucciolate si prevengono gli abbandoni. In Campania e in Calabria Save the Dogs investirà tempo, risorse ed energie, affinché il controllo della popolazione canina entri stabilmente nell’agenda delle autorità locali. Per fare un esempio, in Calabria 15.000 cani vivono in canili-lager dai quali è difficile, per non dire impossibile, uscire.

Troppi cani rinchiusi nei canili-lager
Una chiamata dal cuore, una vocazione a cui non dire di no. Il disimpegno va sempre condannato, tutte le volte che diciamo me ne frego, non mi interessa, non mi importa, dimostriamo di non essere cittadini per bene, di non essere persone responsabili perchè non stiamo dando il nostro contributo per migliorare la situazione in cui viviamo.
Non sempre è possibile dedicare tutta la vita a una causa. Sara l’ha fatto e oggi, dopo vent’anni, ha sentito l’esigenza di condividere la sua esperienza attraverso un libro commovente, “I cani, la mia vita” (Sonda Edizioni), che sarebbe doveroso sottoporre anche all’attenzione degli alunni delle classi primarie perchè è formativo e indispensabile per allenare le nuove leve al rispetto per gli animali e non solo. Il libro è anche una guida per i volontari di tutte le associazioni animaliste, un vademecum importante per non perdere l’orientamento della bussola (e chi opera nel settore sa a che cosa si fa riferimento). Insomma è un libro a 360 gradi per tutti. Per chi ha un cuore e per chi non ricorda di averne uno.
Il destino dei cani che Sara ha incontrato è il filo conduttore dell’intera narrazione. Porthos, Evelina, Abatjour, Leo, Nora, Albus, Charlie, Minny, Betty, Ciuffi, Milo, Mozart, Ibis, Candy Candy, Mia, Sophie, Lucy, Bobita, Pamela, Petre, Zorro, la cavalla Margherita e tutti gli altri cani che il libro non è riuscito a citare.
Non sono sempre storie a lieto fine e ripercorrere le vicende di questi anni per Sara ha significato aprire i cassetti del cuore e rivivere il dolore perchè i cani non sono tutti uguali e solo alcuni riescono a salvarsi.
Nel 2012 Sara Turetta è nominata Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia dalla presidenza della Repubblica.

Il volto della tristezza
La cagnolina in copertina è Amélie. La piccola era destinata a trascorrere un’esistenza di stenti, dormiva in una cuccia di fortuna, legata a una catena e, quando riusciva, rubava qualche uovo nel pollaio per calmare la fame. Quando Sara l’ha incontrata aveva pochi mesi di vita e un destino segnato. Quello sguardo di supplica le rapì il cuore al primo istante. E così le vite di una cagnolina tenace e una donna coraggiosa si sono unite per sempre. E’ la legge dell’Amore. Quello che inizia con la lettera maiuscola.

Sara e Amélie
Gli animali sono compagni di viaggio. Rendono la nostra vita più bella, più piena e ricca. Avere l’opportunità di capirlo è un’occasione straordinaria. Sono dei Maestri perchè ognuno di loro ha qualcosa da insegnare. Non dimenticano mai chi li ha salvati. Meritano il nostro rispetto e le scuse del genere umano non sono sufficienti per aver ferito nel profondo la loro fedeltà nei nostri confronti.
GRAZIE SARA, grazie a te 8.000 cani rumeni sono stati salvati e adottati. Un vero miracolo.

Rinascere dopo il lutto
Un manuale per aiutarti a superare la perdita di chi ami
In tutte le lacrime permane una speranza. (Simone de Beauvoir)
Per elaborare un lutto ci vuole tempo ed energia perchè è una ferita da “pulire” e curare. Una trasformazione di cui siamo gli attori in primis, una rinascita attraverso una serie di esercizi pratici e non solo teorici. Una sorta di “rieducazione”, insomma.
Niente sarà più come prima perchè è avvenuto un turbamento radicale dell’esistenza. Ma c’è un dopo, un viaggio sconosciuto verso un luogo inesplorato.
Riuscire ad accettare la nuova realtà non cancella la storia di ognuno di noi. Il dolore è qualcosa che ci assale come un’onda, un’esplosione sia fisica che spirituale che con umiltà, rispetto e lentezza bisogna affrontare attraverso l’ascolto di se stessi.

La paura di morire è il nostro peggior nemico, il fine vita in occidente disturba. Morire però non è un errore e nemmeno uno sbaglio, è semplicemente un passaggio inevitabile verso una nuova dimensione.
Nessuno conosce veramente se stesso finché non ha sofferto.
Uno dei primi passi per rinascere dopo un lutto è passeggiare nella natura, l’incontro con l’Albero Maestro, che apre le porte al meraviglioso, simbolo di unione tra l’umano e il divino e intermediario tra i mondi.
Piantare un albero rappresenta la continuità, il rinnovamento. Sarà per sempre il testimone e il nostro guaritore.

Le candele sono supporti alla preghiera. Osservare la fiamma finché non si sarà del tutto consumata. Concentrare l’attenzione sui ricordi, sui pensieri fino a che le emozioni ci verranno incontro. Lì e nei sogni riceveremo le risposte perchè è quella la sede delle intuizioni.
Parlare ad alta voce con chi si ama. Rifiutare la razionalità e lasciar correre le emozioni, senza fermare il fiume in piena.
Immaginare di essere un’onda o il vento e muovere gambe e braccia. Un uccello che si libra nell’aria e si lascia andare. E’ così che sentiremo l’estendersi dell’anima.
E’ possibile avere meno paura della morte se impariamo a guardare con il cuore e ad accettare la nuova situazione, anche se mille pezzi di noi sono sparsi al vento. Una nuova fase dell’esistenza in cui le date degli anniversari fanno riaffiorare ricordi e nostalgie e niente potrà mai assomigliare all’amore perduto. Ma, come scrive Richard Bach, quella che il bruco chiama “fine del mondo”, in realtà è una splendida farfalla.
Scrivere una lettera d’amore e poi bruciarla osservando gli anelli di fumo che salgono fino a svanire, oppure fissare la carta che si scioglie nell’acqua.
Un messaggio all’infinito e poi amare di nuovo. Consapevoli che non è un addio.

Ciao Zeus
Respiro profondamente accettando la tua partenza. Tu sei parte di me ma ti lascio andare, il cuore lo dice ad alta voce.

Il lutto di un bambino che rimane orfano, dei genitori che hanno perso un figlio, di chi ha peso il compagno di una vita. Amanda Castello in Rinascere dopo il lutto (Macro Edizioni) non si ferma qui. Il manuale sarebbe incompleto se non si prendesse in considerazione anche il lutto per un animale che oggi è, a pieno titolo, un membro della famiglia e quando muore è sempre uno strazio, un dolore profondo e devastante perchè il bisogno di amare ed essere amati appartiene a tutte le specie viventi.
La perdita di quel compagno arriva improvvisamente nella vostra vita come un fulmine a ciel sereno. È un calvario molto doloroso che colpirà alcuni membri della famiglia molto più di altri, a seconda della profondità del legame di attaccamento e, come tutti i dolori, dovrà attraversare le stesse fasi di un lutto umano. Negazione, rabbia, senso di colpa.
L’animale sa che sta per morire e nel momento dell’addio saremo l’ultimo sguardo che porterà con sé. Per questo ci è grato.
Guardarlo negli occhi accarezzandolo dolcemente. Ringraziarlo per tutto quello che ha portato nella nostra vita. Chiedergli perdono per i momenti in cui non abbiamo capito di cosa aveva bisogno.
È il momento dell’addio.
Siamo l’ultima immagine che il nostro animale porterà con sé. Ha bisogno di noi in questo momento. Ha bisogno di sentire il nostro amore.

Sarà il cuore a suggerire il rituale.
I rituali suggeriti dal cuore sono importanti per elaborare il lutto. Scavare una tomba nel giardino, creare un luogo del ricordo, piantare un albero o un fiore. Un bastoncino d’incenso, una candela. Disporre dei fiori, abbracciare il suo giocattolo preferito, una poesia, una fotografia.
E quando avremo sentito l’ultimo respiro, l’ultimo battito del cuore, non dovremo avere fretta ma continuare ad accarezzarlo e a parlargli, lasciare che le lacrime arrivino.
Un vuoto si verrà a insediare.

Tutto ricorda la sua presenza e tutto diventa silenzioso e vuoto. Il ritmo della vita si interrompe. Domande in sospeso, dubbi, preoccupazioni.
Chi se ne fa una ragione senza cercare risposte, chi le riceve in sogno o assiste a fenomeni sorprendenti, sensazioni fortissime di presenza, odori, abbai, miagolii, spostamento di un oggetto, sensazione di essere sfiorati, toccati, visioni. Manifestazioni che dimostrano che lo spirito dell’animale è sempre presente.
Non si può fare a meno di amare e di soffrire. Bisogna accettare la tristezza e il bisogno di piangere, la nuova condizione, la nuova fase dell’esistenza. E’ tempo della nostalgia, un tesoro che ci appartiene e mai nessuno potrà portarci via, uno spazio soltanto nostro, una fusione, un modo inesplorato di amare. E poi amare di nuovo perchè la morte è come un punto per poi cominciare un’altra frase. Non è la fine ma un andare avanti.
Non ti dimenticherò mai. Tu sei parte di me.

Un respiro profondo prima di girare la pagina della vita.


Ciao Leo
La magia del Perù
3000 anni di civiltà dalle origini agli Inca
Un lungo racconto. Quello che Mudec, museo delle culture di Milano, dedica al Perù e all’impero Inca. Immagini, reperti archeologici, percorsi multimediali e tanto altro ancora per descrivere millenni di storia indimenticabili e valorizzare la ricerca interdisciplinare delle culture del mondo.
La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 19 febbraio 2023, è promossa dal Comune di Milano-Cultura e realizzata da World heritage exhibitions e 24 Ore Cultura, in collaborazione con il Governo del Perù e il Ministero della Cultura del Perù, l’associazione Inkatera e il Museo Larco di Lima, da cui provengono gli oltre 170 manufatti in mostra.

Machu Picchu, che in lingua quechua significa “montagna vecchia”, è patrimonio culturale e naturale dell’umanità. A 2400 metri di altezza con i suoi impressionanti blocchi di pietra semplicemente posati l’uno sull’altro, sembra un luogo irraggiungibile, magicamente sospeso nel tempo. I profondi dirupi che la circondano sono la sua migliore difesa naturale.
L’antica città perduta nel cuore delle Ande, fu costruita nel 1450 e riscoperta soltanto nel 1911 da un archeologo inglese. Molti aspetti di questo grande impero restano tuttora misteriosi. I sovrani si definivano “Figli del Sole” e si credevano eterni e suoi discendenti. Qui, dove le montagne sfidano il cielo, tutto seguiva l’ordine della natura.

Templi e palazzi, protetti dall’invasione spagnola grazie alla loro posizione geografica, furono inghiottiti dalla foresta pluviale. Oggi ogni reperto racconta una storia, un costume, una credenza religiosa, un culto, il rapporto con il mondo animale, un particolare rituale propiziatorio.

Ogni oggetto in esposizione è la metafora di cerchio che sembra tornare sempre al punto di partenza, attraverso progetti di conservazione naturale.
Il viaggio dell’eroe mitologico della cultura moche Ai Apaec rappresenta una parte fondamentale della mostra. Capo di una comunità rurale, fu capace di controllare le forze della natura ed effettuare una serie di trasformazioni che gli permisero di attraversare mondi diversi, fino alla sua stessa morte. Dopo essere rinato, l’eroe si unirà alla Madre Terra, la Pachamama, assicurando così la continuità dei cicli naturali delle stagioni, sole e pioggia, gli elementi necessari per la vita di ogni essere vivente.

Ai Apaec
Le immagini proiettate lungo le pareti delle sale danno vita a una sorta di storia illustrata, un percorso che racconta al pubblico con l’immediatezza delle immagini il mondo simbolico che rappresenta le fondamenta sulle quali è stato costruito nei secoli l’universo culturale dell’antico popolo andino e di cui è ancora fortemente intriso l’immaginario religioso, simbolico e misterico del Perù contemporaneo.
La mostra offre anche l’opportunità di sperimentare un’esperienza immersiva attraverso una simulazione di volo sopra la città sacra di Machu Picchu. Si potrà così provare la sensazione di volare sulla città sacra, sulle sue montagne e la foresta amazzonica, in compagnia di una guida che ‘volerà’ con noi.

Un palinsesto di eventi e attività di approfondimento senza precedenti per la città di Milano, che accompagna il pubblico negli spazi del museo in un caleidoscopico viaggio culturale attraverso conferenze, incontri, workshop e laboratori.
I segreti del magico mondo delle Ande riemergono alla luce dei nostri occhi in un incredibile percorso fisico e sensoriale.
Machu Picchu e gli imperi d’oro del Perù. Mudec-Milano. Fino al 19 febbraio. DA NON PERDERE.
Cervello equino Cervello umano
Come il cavallo e l’uomo pensano, agiscono e lavorano insieme
La mente è più estesa del cielo
perchè mettili fianco a fianco
l’una l’altro conterrà
con facilità e tu accanto […]
E. Dickinson
Amare un animale significa sviluppare un rapporto reciproco e profondo. Significa rispetto, intuito e gentilezza. E trovare soluzioni prima di qualsiasi resa.
Uomo e Cavallo affrontano il mondo in modo diverso ma a volte affine. L’interazione reciproca del binomio dipende dalla comunicazione tra i cervelli delle due specie ma è anche una questione di sensibilità. La voce, i gesti, il linguaggio corporeo, ma anche la pelle, i muscoli, i tendini, la distribuzione del peso e l’equilibrio del cavaliere. Tutto conta in questo viaggio d’amore.
Nobiltà senza orgoglio, amicizia senza invidia, bellezza senza vanità. In due parole. Il Cavallo.

I cervelli si evolvono attraverso la selezione naturale, la capacità mentale aiuta gli individui a sopravvivere e riprodursi. In sintesi, ogni specie vivente possiede l’intelligenza che gli occorre. Il cervello equino collega la percezione direttamente all’azione. La corteccia visiva del cervello, quando riceve l’informazione, la trasmette alla corteccia motoria. Il risultato è un’azione immediata, volta a prestare particolare attenzione alla paura, che è l’emozione più forte dei mammiferi, una sorta di campanello d’allarme che genera a sua volta l’istinto di sopravvivenza. Per un cavallo nella prateria è di vitale importanza agire senza pensare.

E invece come è organizzato il cervello umano?
Quando la corteccia visiva riceve un segnale, lo invia alla corteccia prefrontale che lo analizza e valuta prima che la corteccia motoria entri in azione. Il cervello umano raccoglie le informazioni sensoriali attraverso il talamo e prepara il corpo a muoversi ma decide se reagire tramite la corteccia prefrontale. Evitare distrazioni e concentrarsi su situazioni complesse è la sua maggiore abilità. L’attenzione lo aiuta a selezionare i dati in arrivo.


A sx. la percezione equina (le foglie, un uccello che vola, un cervo, un gufo, un albero caduto). A dx. quella umana (la casa in lontananza).
Il cervello equino, a differenza del nostro, non ha una corteccia prefrontale preposta alla valutazione e che consenta di controllare gli impulsi. E’ programmato per la vigilanza anziché la concentrazione, sperimentare emozioni attraverso l’amigdala, scrive Janet L. Jones, in Cervello equino, cervello umano (Edizioni Mediterranee).
Conoscere le differenze tra le specie viventi aiuta ed agevola la comunicazione.
I cavalli sono animali da preda e notano all’istante i più piccoli movimenti. Fuggono davanti al pericolo e vivono in branco per sentirsi protetti. Gli occhi, posti lateralmente, consentono un campo visivo molto ampio, che il paraocchi oscura quasi completamente, provocando disagio e nervosismo.
Guariscono le ferite dell’animo umano e offrono amore incondizionato. Aspettative impossibili o non inclini alla loro natura possono comprometterne la salute.
Quando abbassano la testa e allungano il collo, quando lasciano ricadere gli orecchi sui lati, allentano la coda e gli occhi non sono dilatati, allora vincono i timori e sono felici.
…Un lento sbuffo durante l’espirazione.

JANET L. JONES è una scienziata cognitiva. Applica la ricerca sul cervello all’addestramento di cavalli e cavallieri. Insegna neuroscienza della percezione, del linguaggio, della memoria e del pensiero.
Lo spirito del cavallo
Il legame magico tra uomo e cavallo
Per ogni cavallo c’è un solo cavaliere.
Un animale cambia il corso della vita della persona che lo accoglie, che gli apre la porta del cuore. E tutto diventa magia se scegliamo di vivere quest’emozione con un cavallo.

Dobbiamo abituarci a usare tutto il corpo per comunicare, percepire i suoi movimenti e le intenzioni è il segreto di un’intesa perfetta.
La storia d’amore tra noi e il cavallo inizia da lontano, ma anche facendo una passeggiata. Un viaggio fisico e metafisico che insegna a “radicarsi” in se stessi, capire la vita attraverso un nuovo modo di pensare che guarisce l’anima. Una specie di ritorno spirituale verso casa, non solo attraverso la mitologia e la storia, ma anche il linguaggio e la religione.
I cavalli elementali creano connessioni con gli elementi naturali (terra, acqua, fuoco, aria a cui si aggiunge la dimensione spirituale). Non esistono nel mondo fisico, sono puri archetipi e per incontrarli è necessario un viaggio interiore. Ciascuno di essi è destinato a un compito specifico che conduce verso le energie di cui si ha bisogno.

E’ possibile sintonizzarsi con i chakra del cavallo come se fossero delle sfere di energia. Possiamo provare, è semplice. Basta stendere una mano sul suo petto e l’altra sul fianco, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. E’ solo così che la dimensione umana incontra quella animale.
Quando la simbiosi è forte il cavallo diventa un guaritore e ci assiste sia sul piano psicologico che fisico.
Un luogo sicuro dove vivere, spazio per correre, nutrimento, acqua fresca, cure. In due parole: essere amato. Sono queste le esigenze di un cavallo.

Lo spirito del cavallo di Debra DeAngelo (Edizioni Mediterranee) è un manuale completo. Ogni capitolo è trattato con competenza. Il cavallo visto a 360 gradi nella sua fisicità e spiritualità. Consigli pratici, tecniche ed esercizi di equitazione e vita insieme.
Splendido ritratto di una creatura dal talento unico che ha modificato il corso dell’esistenza umana. Quadrupede miracoloso che ha scelto di rimanere al nostro fianco con tutto il suo meraviglioso mondo interiore.
Niente è stato dimenticato o tralasciato. Nemmeno il suo ultimo trotto sulla Terra. Il dolore del lutto è una spina nel fianco che deve fare il suo corso.
Quando muore un cavallo il dolore va trasformato in amore, incanalato verso un altro cavallo, affinchè tutto si trasformi. E’ la regola dell’Universo.
Trilli
Riflessioni di una gatta in degenza
Il giudizio di un gatto è insindacabile -scriveva Ernest Hemingway– gli esseri umani, per una ragione o per l’altra, riescono quasi sempre a nascondere i propri sentimenti. I gatti no.
Trilli è una gattina tricolor. Ha un corpicino esile e una mascherina sul musetto, per metà nera e per metà bianca. Sembra avere due calzini bianchi sulle zampine e dello stesso bianco è anche la punta della coda. All’apparenza potrebbe avere due anni d’età.
Con i suoi occhietti vispi e attenti, da una posizione privilegiata, scruta i musetti degli ospiti dell’ambulatorio veterinario ormai da diverse settimane. Un modo davvero insolito per imparare le preziose lezioni della vita attraverso il linguaggio non verbale del cuore.
E’ stata sfortunata questa piccolina perché un giorno una macchina l’ha investita. Questo è il motivo per cui ora si trova nell’ambulatorio, ricoverata in sala degenza in una confortevole gabbia, con una zampina rotta e diverse fratture. Ha perso anche la memoria perché non ricorda alcun volto e nessuna situazione antecedente all’incidente.
L’hanno chiamata Trilli, un nome da fatina. Ma in realtà il suo vero nome, quello dato da mamma gatta nell’istante in cui venne al mondo, è Nuvola splendente.
Cloe, Luna, Rollo, Biancospino, Ortensia, Sole, Balto, Pier Camillo, Rex, Fiore di bosco, Brad, Edera, Lillo, Rombo di tuono, Artù… E l’amicizia con il micio Soffio di Vento. Ognuna di queste splendide creature ha una storia da raccontare. Malattie, abbandoni, incidenti. Ma non solo. Nell’ambulatorio avvengono anche meraviglie perché possono succedere molte cose in pochi mesi.
Trilli guarda il mondo a modo suo e Diego Manca, medico veterinario e autore del libro, la osserva. Il risultato è un diario a più voci e il racconto di una splendida storia d’amore.

La Cina di Henri Cartier-Bresson
Oltre cento stampe originali e una raccolta di documenti e materiali d’archivio raccontano lo storico reportage del grande fotografo francese sugli ultimi giorni di Pechino prima dell’arrivo delle truppe di Mao.
Un excursus senza precedenti che racconta, per la prima volta in Italia, i due momenti più importanti della storia della Cina: la caduta del Kuomintang (1948-1949) e il “Grande balzo in avanti” di Mao Zedong (1958).
Grazie all’occhio della sua macchina fotografica e con l’uso sapiente del bianco e nero, il maestro Cartier-Bresson, per primo, pone l’accento su temi importanti del cambiamento nella storia contemporanea cinese, riuscendo a presentare al mondo occidentale aspetti fino ad allora tenuti nascosti dalla propaganda di regime come lo sfruttamento delle risorse umane e l’onnipresenza delle milizie.

Henri Cartier-Bresson nasce in Francia, nei pressi di Parigi, nel 1908 e inizialmente si dedica alla pittura e al cinema. In principio si interessa poco alla fotografia e quel poco è solo funzionale alla sua attività di pittore e aiuto regista (lavorerà nella realizzazione di tre film con Jean Renoir).
Scrutare la realtà attraverso l’obiettivo, più precisamente un 50 mm e una Leica 35 mm, per rendere il risultato dello scatto quanto più vicino possibile alla visione dell’occhio umano. Con il suo stile inconfondibile, quasi poetico, segnerà indelebilmente la storia della fotografia. Oggi definito l’occhio del secolo può essere considerato anche il pioniere del fotogiornalismo.
Fondatore, con Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandivert della celebre agenzia Magnum, ha sempre saputo cogliere il “momento decisivo” degli avvenimenti.
La fotografia è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere…”. Trasmettere sensazioni attraverso una fotografia che diventa Storia.
La mostra Henri Cartier-Bresson. Cina 1948-49 | 1958 è prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura e curata da Michel Frizot e Ying-Lung Su . E’ stata realizzata grazie alla collaborazione della Fondazione Henri Cartier-Bresson e riunisce un eccezionale corpus di fotografie e documenti di archivio del fotoreporter francese: oltre 100 stampe originali insieme a pubblicazioni di riviste d’epoca, documenti e lettere provenienti dalla collezione della Fondazione HCB.
E’ un viaggio senza precedenti. Imperdibile.

Dal 18 febbraio al 3 luglio 2022
Lunedì 14.30 – 19.30
Martedì – mercoledì – venerdì – domenica 9.30 – 19.30
Giovedì – sabato 9.30 – 22.30
Location
Mudec – Museo delle Culture
via Tortona 56
(Quartiere Tortona)
Milano
Sito web: mudec.it
La sofferenza è animale
Animale è colui che possiede un’anima, un soffio di vita, anzi di vento. Inspirato e espirato. Inalato e esalato.
La condizione animale nella nostra società ha raggiunto livelli di orrore inspiegabili e sconosciuti a qualsiasi altra epoca precedente.
Mai avevamo allevato piante e animali come oggi, mai avevamo industrializzato l’allevamento, la macellazione e il consumo di animali, la coltura e la manipolazione di vegetali, al punto da essere noi stessi perturbati nella nostra stessa salute, sensibilità e etica.
La questione animale è innanzitutto una questione umana. Così risponde Jean-Luc Nancy, uno dei più importanti filosofi contemporanei.
Nella nostra tradizione filosofica, la differenza tra uomo e animale è il linguaggio. Ma siamo sicuri che gli animali ne siano privi? E se il linguaggio fosse ridefinito in un sistema di segni?

Chi è l’uomo?
Dovremmo vedere gli animali sotto una luce diversa da quella usuale e affidarci a incontri inaspettati. Ne rimarremmo stupefatti, incapaci di descrivere le emozioni.
Quello intrapreso da Nancy, nel prezioso saggio La sofferenza è animale, edito da Mimesis e curato da Massimo Filippi e Antonio Volpe, è un mutamento di prospettiva riguardo non solo la questione animale ma la natura animale dell’umanità.

Il Cane, il Lupo e Dio
Il Cane si arrese a un’infinita tristezza. Dopo aver perso tutto. Soprattutto la fiducia. Questa è la storia di un abbandono e di un incontro.
Ma come si può sopravvivere da soli in una foresta di notte? Incontrando se stessi tutto è possibile. Questa è la risposta. Anche per un Cane. E allora non si ha nemmeno bisogno di un collare. E così comincia il viaggio di ognuno di noi.

La strada è lunga, questo è certo, e non esistono scorciatoie. Kalù era il più forte, Alina con il manto rossiccio la più schiva, Anah, sobrio e rigoroso, Muni con la voce calma guidava il branco lungo l’Antica Via, quella che attraversa il cuore del bosco, l’unica che porta alla Montagna della Luna.
Bisognava fare attenzione a ogni passo scivolando via come fantasmi. Ma dato che la coda è come una coperta che ti porti sempre dietro, fu così che il Cane capí di avere molte più risorse di quanto pensasse, anche se si sentiva piccolissimo in quel vasto paesaggio.

I corvi volavano sopra di loro, compagni dello stesso viaggio di purificazione e complici della stessa bellezza.
Il branco seguiva i corsi dei fiumi attraversando boschi di faggi, betulle e abeti. Se le rane smettevano di cantare allora era in arrivo un pericolo. Dalle pieghe delle montagne capivano dove scorreva un ruscello. Quando gli uccelli cantavano quella era l’ora di cercarsi un giaciglio. Se avevano sete c’era sempre un sorso d’acqua nascosto nel calice di un fiore. L’importante era essere in armonia con l’universo.
Anche la Montagna ha imparato a non desiderare quello che non ha. È la creatura più antica della foresta, non si sveglia e non si addormenta. Le Nuvole le portano da bere. Se una creatura immobile riesce a sopravvivere anche un Cane troverà il modo di attraversare la vita.
Può un cane avere nostalgia dell’uomo? No, se la terra è morbida e i pali di ferro fossero di nuovo alberi.
Può un cane tornare a essere un lupo? Gli basterà seguire la propria ombra e i corvi che sono gli occhi dei lupi nel cielo. E un giorno arriverà ai piedi di una montagna con cinque punte. Sarà come una visione, perfettamente immobile.
C’è qualcuno che si occupa di ogni essere vivente. Per questo non bisogna avere paura.
Il Cane, il Lupo e Dio di Folco Terzani, edito da Longanesi e impreziosito dalle illustrazioni di Nicola Magrin, non è solo un libro. È libro e poesia insieme. È storia di Vita. È Filosofia. È Verità, al di là dei punti di vista. È metafora. È Viaggio di un Cane che abbandona le abitudini e diventa padrone di se stesso, responsabile delle proprie azioni. E così impara a vivere da solo, seguendo la propria natura.
E allora chi è Dio? È colui che vive oltre il Sole e governa la Montagna.
